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Quarto Potere: il film capolavoro compie 80 anni

Citizen Kane (in italiano Quarto potere), talmente attuale da essere stato appena ricostruito da David Fincher in Mank, che entra a gamba tesa nella questione della primogenitura della sceneggiatura premiata con l’Oscar nel 1942 e firmata a quattro mani da Welles stesso ed Herman J. Mankiewicz.

I tycoon di Hollywood in quegli anni producono solo cinema di genere, e quello che Welles riesce a ottenere, ovvero un controllo assoluto sul suo film, è un caso unico. Per dire: quel kolossal coloratissimo che è Via col vento è del 1939, e praticamente nello stesso momento Welles realizza un’opera in bianco e nero espressionista con inquadrature azzardatissime…E cosa è, se non uno scorpione, il protagonista Charles Foster Kane, milionario per caso, magnate dell’editoria, collezionista compulsivo, costruttore e distruttore? Citizen Kane è un film clamoroso dai molteplici piani di lettura, sia dal punto di vista della forma sia da quello del contenuto: è la storia di una ricerca, di un senso, del significato ultimo della vita di un uomo potente che muore solo, in una residenza lugubre zeppa di opere d’arte. Soltanto allo spettatore sarà permesso, alla fine, uno sguardo alle sue ultime parole, a Rosebud, che non è una persona, che non è il grande amore di tutta la vita (sarebbe stata la soluzione pacificatoria dell’enigma), ma è una slitta, quella che Kane possedeva da bambino, prima che tutta la sua vita cambiasse, prima che arrivasse tutto quel denaro, prima che sua madre decidesse di togliergli la slitta e di mandarlo via dalla loro povera casa per iscriverlo a un collegio esclusivo. Ma nella ricostruzione della biografia di Kane è davvero importante, e risolutivo, scoprire cosa significa Rosebud? Se seguissimo pedissequamente le tracce dell’indagine potremmo davvero concludere che lo spartiacque (il trauma) è stato quel momento (quella separazione)? Rosebud rappresenta la madre di Kane e forse la madre di Welles, morta quando lui aveva nove anni. Era questo che interessava al regista? Oppure era trascinarci nel flusso delle immagini e svelarci squarci della vita del suo protagonista illuminandolo dall’alto, dal basso, di taglio, di profilo, nell’ombra (merito del direttore della fotografia Gregg Toland) e mostrarci che per quanto si possa scavare il senso ultimo dell’esistenza di qualcuno rimane inconoscibile?

Citizen Kane è un film artificiale: del resto, davvero pensiamo di poter trovare la verità nell’opera di un uomo che diventa famosissimo per aver ingannato tutta la popolazione degli Stati Uniti fingendo un’invasione aliena mentre legge La guerra dei mondi alla radio? Ce lo dice lo stesso Welles, in questo film esplicitamente (''Una parola non spiega la vita di un uomo''), e in tanti altri titoli successivi, come in L’infernale Quinlan (''Era un uomo. Cosa importa quello che si dice della gente?''), o in F come falso, del 1973, dove racconta storie di falsi e di falsari.

Gli effetti speciali sono pazzeschi per il 1941 e il ritmo è incredibile, per non parlare dei carrelli, delle dissolvenze, dei grandangoli, che schiacciano i personaggi dall’alto o li rendono enormi, minacciosi, dei tagli delle inquadrature che li sbirciano dalle finestre, come fa la stampa alla ricerca di finte verità, un film di piani sovrapposti, come sono le persone.Citizen Kane è folgorante fin dalla scena iniziale: si apre e si chiude allo stesso modo, con il cartello “No trespassing”, che ci introduce e ci chiude fuori alla fine dalla Xanadu di Kane, imponente architettura gotica che potremmo trovare in un film di Tim Burton. Tremendamente simile, tra l’altro, al Castello di William Randolph Hearst, uno dei padri fondatori del giornalismo scandalistico al quale si ispira il plot, che osteggiò in ogni modo la distribuzione della pellicola negli USA.

Il film ripercorre la vita di Kane attraverso l’indagine del giornalista Jerry Thompson, che non si vede mai in volto: mentre sta morendo, il magnate lascia cadere una palla di vetro con la neve, che subito riflette al contrario l’immagine dell’infermiera presente nella stanza. Si tratta di un’inquadratura escheriana, che apre un’altra finestra-dissolvenza nella mente dei protagonisti. Tutta la ricostruzione non è lineare, lo stesso episodio viene narrato più volte da diversi personaggi, a rimarcare la finzione visibile, quasi brechtiana, della narrazione. Xanadu è avvolta nella nebbia, ed è luogo magico e decadente, ci sono canali, gondole, scimmie nelle gabbie, tutto illuminato da un chiaroscuro tiratissimo. Parte un cinegiornale che annuncia la morte di Kane, nella ''più grande residenza privata dei nostri giorni, con una montagna personale, 100mila alberi, 20mila tonnellate di marmo, opere per riempire 10 musei, animali, pesci, uccelli, fiere, tutti a coppia, il più grande zoo privato dai tempi dell’arca di Noè, il monumento più costoso che un uomo abbia innalzato a sé stesso''.E poi è un susseguirsi di scene magnifiche e memorabili: il piccolo Charles sullo sfondo incorniciato da una finestra che gioca nella neve mentre la madre decide di affidarlo a un uomo a lui sconosciuto; il giornalista che consulta il diario segreto del banchiere che ha allevato Kane illuminato dall’alto con una luce quasi liturgica; il deterioramento del primo matrimonio condensato in una serie di scene dei coniugi a colazione con dissolvenza a schiaffo, dalla vicinanza intima ai lati opposti del tavolo leggendo il giornale in pochi minuti; l’iconografia nazista della campagna elettorale, con i titoli del giornale in caso di sconfitta che sembrano dettati ieri da Donald Trump; la casa enorme e vuota dove la seconda moglie compone i suoi puzzle, dove i coniugi devono urlare per sentirsi da un lato all’altro della stanza, circondati da testimoni silenziosi, draghi, statue, gargoyle. E ancora gli specchi utilizzati per replicare la figura all’infinito, un espediente che sarà il finale de La signora di Shangai; l’intervista con il suo ex migliore amico in sanatorio; quell’inventario conclusivo con il carrello che indietreggia a mostrare la smisurata collezione di Kane, la vanità di quell’accumulo, le scelte arbitrarie di quello che si deve ricordare, una sequenza che ritroveremo citata, con analogo significato, negli ultimi frame de I predatori dell’arca perduta.

Al pubblico voglio dare solo indizi: dare troppo agli spettatori li porta a non contribuire allo spettacolo. Se dai loro solo dei suggerimenti li fai lavorare assieme a te.
Orson Welles

Citizen Kane è un film sul potere, un’opera muscolare e machista, ambientato quasi totalmente in interni, negli spazi ristretti, costretti dai soffitti (chi lasciava in scena i soffitti prima di Welles?), dalle soglie, dagli stipiti, dai triangoli di luce. Charles Foster Kane (e Welles dietro e dentro di lui) sgomita per uscire dalla cornice dello schermo, per invadere tutto lo spazio e mangiarsi gli altri personaggi, divorato a sua volta dall’idea ossessiva di costruire qualcosa di grande, di grandioso, la casa-mausoleo, il teatro dell’opera, di lasciare impronte, memorie, di costruire qualcosa, qualsiasi cosa, in grado di superare un oggetto da due soldi, la piccola palla di vetro con la neve, e di non riuscirci mai.

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